"Trent'anni fa, si dragava il piccolo porto di Baia che, a quel tempo, oltre ai velieri che vi ormeggiavano per il carico della pozzolana, serviva anche l'attracco dei battelli della linea per Procida e Ischia. Ma i fondali erano bassi e gli approdi rischiosi; le carte dell'Ammiragliato segnavano secche sommerse dal limo; occorreva una draga e una benna robusta per rimuovere dal fondo quelle secche. Incominciato il lavoro e calata in acqua la benna per addentare e divellere, si vide che in luogo di secche e di scogli, venivano tra le mascelle della secchia brandelli di fabbrica, pezzi di pavimenti a mosaico, frustuli di marmo e qualche membro dilacerato di statua. Era il lido di Baia che riassommava dal fondo delle acque, il lido della Baia sommersa dal bradisismo che l'aveva sprofondata lentamente nei secoli, in un millennio e mezzo almeno di anni.
Era il lido di Baia quale vediamo schematicamente raffigurato in un vaso di vetro del IV secolo dopo Cristo, noto come "vaso Borgia", che rappresenta, in linee incise, gli edifici che al navigante si offrivano alla vista veleggiando dopo Miseno lungo la costa, accompagnati da brevi leggende; una specie di portolano illustrato del profilo del litorale baiano ad uso del pilota che s'apprestava ad ormeggiare nella rada resa già insidiosa dal parziale affondamento dei suoi edifici litoranei. L'indicazione infatti di ostriaria, di palizzate per l'ostricultura, mentre conferma un raro bel verso del poeta Ausonio, anch'egli del IV secolo, sulle ostriche fluitanti nel mare di Baia, attesta che ormai le condizioni del lido baiano erano tali da permettere quella ghiotta coltivazione nelle acque tiepide e stagnanti degli antichi bacini portuali e termali."
A. Maiuri "Archeologia all'ancora" da "Le vie dell'Italia" n. 3 pag. 295 Marzo 1958
Il verde degli avvallamenti vulcanici, coperti dalla vegetazione e dai vigneti, il tufo giallo accecante e la pozzolana che ricorda le terre di Siena e i bruni brillanti di alcuni pittori fiamminghi, si succedono ai resti colossali delle Terme di Baia e di altri edifici, le cui rovine celano il segreto della loro identità e dei loro proprietari. Di fronte la solenne monumentalità del Castello, che nasconde sotto le fondamenta altri ruderi e altre storie, chiude l'emiciclo della rada di Baia, costellato di tante grotte di laterizi e di opus reticulatum.
Quel mare di Baia, oggi che pare di bianco/celeste di una seta consunta, è lo scrigno di una città che, se aguzzi l'orecchio, ti parla con la melodica voce dei poeti e suscita fantasmi di ebbre feste, visi di delicate fanciulle, tutta la letteratura latina a fargli da coro, in una giostra poetica che non ha eguale nella storia antica.
Sotto il mare strade, ville, impianti termali e portuali e opere d'arte, nonostante i disastri naturali e i saccheggi secolari. I ruderi numerosi, disseminati lungo le strade, nelle campagne e che spariscono nel mare, rappresentano i tasselli di un mosaico d'enigmi mai risolti e che impegnano l'esperienza di tanti archeologi, ambiziosi di dare un nome a quei resti di una città, che fu magnifica e famosa, movimentata e sfolgorante di marmi.
Ora sotto il mare, che merletta quella mezzaluna che è il golfo di Baia, giace sprofondata gran parte della città antica.
Fonte: https://www.baiasommersa.it
Piazza Gioacchino Rossini, 1 - Bacoli
Con la caduta dell’Impero Romano, anche le città costiere flegree furono costrette a subire la devastante opera distruttrice delle orde saracene del 915 d.C.
L’area tra Cuma e il Fusaro, secoli prima bonificata dai greci cumani con bacini di drenaggio, riassunse l’antico aspetto paludoso e l’aria ridiventò malsana. La città di Cuma, grazie alla sua cortina difensiva, diventò rifugio di briganti dediti al saccheggio delle città vicine. Il Duca Goffredo di Montefuscolo, nell’anno 1207, pose fine col ferro e col fuoco a queste periodiche razzie. Tra la fine del XIII sec. e la prima metà del XIV, il lago Fusaro e l’intera area circostante divenne una giurisdizione Angioina. Una rendita fu assicurata, prima con Carlo II e confermata poi da Roberto, all’Ospedale S. Maria di Tripergole, insieme al diritto della macerazione di canapa e lino.
Agli inizi della seconda metà del XVIII sec., con Ferdinando IV di Borbone, inizia un primo sfruttamento dello specchio lacustre con la coltivazione delle cozze prima e delle ostriche poi. Per volere suo e della sua seconda moglie Lucia Migliaccio, duchessa di Florida, alla morte degli architetti Luigi Vanvitelli nel 1773 e Ferdinando Fuga nel 1780, fu dato mandato, nel 1782, all’architetto Carlo Vanvitelli di costruire su di una preesistente isoletta, una casina per la caccia e la pesca.
All’età di 42 anni, Carlo Vanvitelli fu chiamato a realizzare le sue due maggiori opere per la Casa Reale, ossia l’intervento al Fusaro e il Giardino Inglese di Caserta, iniziato appunto nel 1782 per il quale si avvalse dell’inglese G. A. Graefer, noto giardiniere ed esperto in botanica. Carlo Vanvitelli avviò i lavori consolidando, con una foderatura di grosse pietre, il preesistente isolotto che ospitava un antico rudere adibito a ripostiglio di attrezzature per la pesca.
L’affascinante padiglione poligonale, che d’incanto sorse dalle acque del lago Fusaro, fu strutturato su due livelli con corpi sporgenti e terrazzati su entrambi i piani. Appena compiuto il Casino Reale, il grande pittore P. Hackert, amico del Vanvitelli, volle esaltare l’immagine nel quadro, e il pretesto fu fornito dalla rappresentazione della caccia reale (Ferdinando IV a caccia di folaghe nel lago Fusaro).
Nel mese di gennaio del 1784 fu ospite della Real Casina e di Ferdinando IV, Giuseppe II. Nel tragico dicembre del 1799, la Real Casina fu “toccata” dai moti rivoluzionari che portarono alla nascita della sfortunata Repubblica Partenopea. A quel periodo, infatti, risale la scomparsa di importanti opere d’arte: 4 grandi dipinti raffiguranti le quattro stagioni di P. Hackert e tele in seta provenienti dal possedimento borbonico di San Leucio, costituenti parte del prezioso arredo interno.
Il 5 maggio del 1819, l’elegante struttura ospitò l’imperatore d’Austria Francesco II, la moglie ed il principe di Metternich. Nella II metà del XIX secolo, l’intera area, lago compreso, passò sotto la giurisdizione del regno.
La Real Casina nel corso del tempo ebbe ospiti illustri come: Mozart, Gioacchino Rossini, lo Zar di Russia, Vittorio Emanuele III e nei primi anni ’50 il presidente della Repubblica Luigi Einaudi. Il complesso poligonale del Fusaro, pur appartenendo all’estrema fase del barocco, può essere considerato il “canto del cigno” della produzione rococò.
Via Castello, 39 - Bacoli
Proprio sulle rovine del Palazzo Imperiale, secondo molti autorevoli studiosi, sorge il Castello di Baia. In effetti tracce di camminamenti, opus reticolatum, ambienti termali e strutture di varia natura sono ancora oggi visibili.
La fortezza baiana si sviluppa su una superficie di 45.000 mq. e raggiunge l'altezza di mt. 94 circa sul livello del mare. Appare oggi come l'insieme di sovrapposizioni architettoniche realizzate nel corso dei secoli, più importanti fra le quali vanno ricordate quelle operate da Don Pedro Alvarez de Toledo, don Emanuele Fonseca e Ferdinando IV. Domina l'intero golfo di Pozzuoli e rappresentava, insieme alle fortificazioni del "Borgo Marinaro" di Pozzuoli (Rione Terra) e Nisida, un vero e proprio limite invalicabile per chiunque avesse tentato di sbarcare lungo quelle coste. Le tracce più remote relative alla costruzione del Castello di Baia risalgono al 1490, quando, per ordine di re Alfonso II d'Aragona, fu costruito, sugli avanzi della villa dei Cesari, un Castello per difendere la costa flegrea dalle incursioni saracene.
Il 29/09/1538 la terribile eruzione, che nel corso di una sola notte diede origine al cratere di Monte Nuovo e provocò lo sprofondamento della fascia costiera, in maniera più evidente da Lucrino a Baia, con effetti devastanti per tutti i Campi Flegrei, causò gravi danni anche al Castello di Baia. Si deve all'opera intelligente e tenace del viceré don Pedro Alvarez de Toledo la ristrutturazione e l'ampliamento del forte baiano, che, secondo i suoi piani, doveva diventare l'ultimo baluardo difensivo contro le invasioni corsare.
... Il Castello di Baia però non fu solo una struttura militare, ma rappresentò anche luogo di incontri politici e mondani. Tra le sue mura furono ospitate moltissime personalità. Nel 1506 giungeva in visita re Ferdinando III detto "il Cattolico"; ancora nel 1576 era la volta di Giovanni d'Austria che incontrò l'ambasciatore veneto Girolamo Lippomano per trattare segretamente delicate questioni politiche; nel febbraio del 1582 veniva accolto il duca d'Ossuna.
... Il castello diventa anche centro di studi e ricerche. È per volontà del viceré don Pietro d'Aragona, coadiuvato dal segretario del regno Giulio Cesare Bonito e dai medici Vincenzo Crisconio e Sebastiano Bartoli che inizia una vasta opera di valorizzazione del termalismo flegreo e di quello baiano in particolare, riprendendo quella tradizione già nota in epoca romana. Il Castello però fu anche luogo di pena e di esecuzione delle più barbare sentenze di condanna. Si narra infatti che alcuni reclusi, incatenati nelle anguste celle, in pratica veri e propri sepolcri, venivano abbandonati alla loro sorte, tanto che la morte veniva invocata come un vero e proprio sollievo.
... All'imbrunire del 6 ottobre del 1860, per la prima volta, il tricolore d'Italia sventolava sul Castello di Baia. Qualche anno più tardi, proprio il generale Garibaldi, chiederà al Sindaco di Pozzuoli di trovargli una sistemazione per trascorrere le vacanze a Baia. Il 18 agosto del 1883, giungevano nel porto di Baia quattordici navi da guerra precedute da uno yacht: "il Savoia", che ospitava il re d'Italia, Umberto I, il Principe di Prussia, il Principe di Napoli ed il Ministro della Marina. Con l'unità d'Italia però cambiavano anche le esigenze difensive del paese, tanto è vero che dopo quattro secoli di ininterrotta opera di difesa, con Regio Decreto del 1887, il Castello di Baia non veniva più considerato opera di fortificazione dello Stato.
... Nel 1927 nel Castello di Baia s'insediava l'ente "Orfanotrofio Militare" che ospitava i figli dei caduti della "Grande Guerra", sorte che purtroppo toccherà anche a molti di loro caduti, a loro volta, nel corso del secondo conflitto mondiale.
... Intanto al riparo del Castello di Baia erano sorti prima i "Cantieri Navali" e poi il "Silurificio", presso il quale si era recato in visita il Duce Benito Mussolini. Dal 17/09/1993, la Sovrintendenza archeologica, alla quale il manufatto veniva affidato, istituiva il primo nucleo del Museo dei Campi Flegrei con le statue del Sacello degli Augustali rinvenute a Miseno e i gessi di Baia.
Le “Cento Camerelle” o “Carceri di Nerone”, termini con cui le strutture sono tramandate dalla tradizione, in realtà costituiscono un articolato impianto idrico appartenente alla villa di età repubblicana di Ortensio Ortalo, sicuramente tra le più sontuose di Baia.
Attualmente le Cento Camerelle sono visitabili al piano inferiore; si tratta di cunicoli comunicanti scavati nel tufo e non ancora del tutto esplorati con copertura piana e spiovente, che terminano oggi a strapiombo sul mare.
Rivestiti da uno spesso strato di cocciopesto, materiale isolante e protettivo, si ipotizza la loro funzione a cisterna. Il livello superiore, a circa tre metri più basso dall’attuale piano di calpestio, consta di un piano non in asse con quello sottostante e costruito in epoca diversa.
Databile al I sec. d.C. la struttura, anch’essa una cisterna come dimostra il rivestimento impermeabilizzato, presenta l’interno diviso da tre file di pilastri. La copertura con volta a botte presenta all’esterno, al di sopra di essa, un terrazzo in signino.
Via delle Terme Romane, 63 - Bacoli
Secondo Strabone, la fondazione di Cuma è da attribuire ai Calcidiesi ed ai Cumani d'Asia, elevandola quindi a più antica città e colonia d'Italia.
La spedizione, secondo la sua narrazione, fu guidata da Ippocle di Cuma e Megastene di Calcide, assistiti durante il loro viaggio, propiziato per divina volontà, da una colomba di giorno, dal suono di bronzei cembali di notte, che li mise sulla rotta tracciata da Apollo. Successivamente, da questa prima colonia, partirono coloro i quali andarono ad edificare Palepoli.
Secondo invece le più moderne teorie, i veri colonizzatori, furono i Cumani d'Asia, che prima di approdare ai lidi flegrei, sostarono in Calcide di Eubea, in cui approfittarono per rifornirsi di viveri ed uomini, arricchendo così notevolmente le proprie schiere di Calcidiesi. ...
Quel che comunque appare certo, è che i colonizzatori prima di approdare a Cuma soggiornarono nell'isola Pithecusa (Ischia) e Prochyta (Procida) e che la nuova città sorse su insediamenti preesistenti.
Nel VII e nel VI secolo a.C., il dominio della città si estese a quasi tutta la penisola cumana, fino a Pozzuoli, divenendo in tal modo una vera e propria potenza commerciale in forte ascesa.
Nel 528 a. C., secondo le più accreditate testimonianze sostenute principalmente da Erodoto, alcuni cittadini di Samo, famosa isola dell'Egeo, si ribellarono alle tiranniche leggi di Policrate, ed emigrarono alla volta della regione flegrea.
Dai cumani furono bene accolti, dal momento che era loro interesse, allargare la fascia dei contribuenti e creare una nuova fortezza difensiva, da affiancare a quella di Miseno. I Sami quindi, andarono a stabilirsi sulla rocca di Pozzuoli, naturale ed inaccessibile promontorio che domina l'intero golfo, battezzando il luogo con il nome di Dicearchia, cioè giusto impero.
Secondo Strabone, la fondazione di Cuma è da attribuire ai Calcidiesi ed ai Cumani d'Asia, elevandola quindi a più antica città e colonia d'Italia.
La spedizione, secondo la sua narrazione, fu guidata da Ippocle di Cuma e Megastene di Calcide, assistiti durante il loro viaggio, propiziato per divina volontà, da una colomba di giorno, dal suono di bronzei cembali di notte, che li mise sulla rotta tracciata da Apollo. Successivamente, da questa prima colonia, partirono coloro i quali andarono ad edificare Palepoli.
Secondo invece le più moderne teorie, i veri colonizzatori, furono i Cumani d'Asia, che prima di approdare ai lidi flegrei, sostarono in Calcide di Eubea, in cui approfittarono per rifornirsi di viveri ed uomini, arricchendo così notevolmente le proprie schiere di Calcidiesi. ...
Quel che comunque appare certo, è che i colonizzatori prima di approdare a Cuma soggiornarono nell'isola Pithecusa (Ischia) e Prochyta (Procida) e che la nuova città sorse su insediamenti preesistenti.
Nel VII e nel VI secolo a.C., il dominio della città si estese a quasi tutta la penisola cumana, fino a Pozzuoli, divenendo in tal modo una vera e propria potenza commerciale in forte ascesa.
Nel 528 a. C., secondo le più accreditate testimonianze sostenute principalmente da Erodoto, alcuni cittadini di Samo, famosa isola dell'Egeo, si ribellarono alle tiranniche leggi di Policrate, ed emigrarono alla volta della regione flegrea.
Dai cumani furono bene accolti, dal momento che era loro interesse, allargare la fascia dei contribuenti e creare una nuova fortezza difensiva, da affiancare a quella di Miseno. I Sami quindi, andarono a stabilirsi sulla rocca di Pozzuoli, naturale ed inaccessibile promontorio che domina l'intero golfo, battezzando il luogo con il nome di Dicearchia, cioè giusto impero.
Via Piscina Mirabile, 27 – Bacoli
La Piscina Mirabilis è il più grandioso serbatoio o cisterna romana di acqua potabile mai conosciuto. Collocata a Miseno, presso la sommità di una collinetta, è interamente scavata nel tufo. Esternamente sono visibili solo la volta di copertura e la porta d’ingresso sorretta da tre archi, che conduce ad una delle due scalinate gemelle.
Dall’esterno non si immagina di stare per accedere in un ambiente così maestoso e suggestivo: una sorta di “cattedrale sotterranea”, alta 15 metri, lunga 72 e larga 25, ricoperta da una volta a botte sostenuta da 48 enormi pilastri cruciformi, rafforzati alla base da cordoli anti infiltrazione e disposti con ritmica scansione in quattro file, a formare cinque lunghe navate. Oltre alla particolare composizione architettonica, un sistema di illuminazione che dai pozzetti superiori permette ai raggi solari di inondare l’ambiente con un suggestivo gioco di luci ed ombre, contribuisce a creare un’atmosfera di mistico raccoglimento.
Questa enorme piscina dalla capacità di 12.000 metri cubi costituiva il serbatoio terminale o, se vogliamo, il capolinea del grandioso acquedotto augusteo che, dalle sorgenti di Serino (AV), situate ad una quota di 330 metri e con un tragitto di 100 chilometri, portava l’acqua a Napoli e nei Campi Flegrei, fino alla quota di otto metri della Piscina ( ora a quota 2, causa bradisismi ). Pertanto, la pendenza media dell’acquedotto era di circa 3,22 metri a chilometro, con dislivelli massimo di metri 15/Km e minimo di metri 0,03/km. La pendenza degli acquedotti giocava un ruolo importante nella formazione di incrostazioni di calcare (e quindi nelle opere di manutenzione), essendo esse direttamente proporzionate alla velocità e quindi all’ossigenazione dell’acqua.
Tutto il rivestimento interno della Piscina, come dei pilastri è in materiale impermeabilizzante, un cocciopesto di discreto spessore. La pavimentazione non è uniforme. Mentre quella della prima navata laterale (a cui si accede con la scalinata agibile, quella di SE) è un gradino più alto della restante pavimentazione, questa è poi interrotta a metà piscina con una vasca limarla di metri 20 X 5 , profonda metri 1,10 ed utilizzata a suo tempo per decantare le acque e spurgare tutta la piscina dal fango, durante i periodici interventi di manutenzione. Infatti dal fondo laterale di questa vasca parte l’unico canale di collegamento con l’esterno. In effetti l’acqua potabile veniva invece prelevata dai pozzetti situati sulla sommità della volta e mediante macchine idrauliche.
Questo immenso serbatoio aveva il compito specifico di approvvigionare di acqua la numerosissima Classis Misenensis, divenuta Classis Praetoria Misenensis, la più importante flotta dell’Impero Romano, composta da numerose navi di diverso tipo.
La denominazione fu attribuita all’edificio dagli antiquari napoletani in seguito al ritrovamento di bassorilievi marmorei con figure di cani e cervi, nonché per un frammento marmoreo in cui pare si leggesse il nome della dea.
La struttura si presenta come una grande aula a pianta circolare iscritta in un ottagono, costruita in opus listatum fino alle reni degli archi di copertura dei finestroni; al di sopra è in opus latericium fino all’attacco della cupola, che era di forma ogivale e che oggi si presenta sezionata, realizzata con anelli progressivamente aggettanti, costruiti con schegge di tufo e laterizi.
La rotonda potrebbe essere identificata con una natatio, in relazione alla presenza in loco di sorgenti termali naturali, calde e fredde.
Fonte: https://www.scabec.it
Via Ortenzio - Bacoli
Si tratta dei resti di una villa marittima che sorgeva in prossimità del mare, oggi non visibile, e non del sepolcro di Agrippina, madre di Nerone uccisa nel 59 d.C. che, secondo Tacito, era stata sepolta lungo la strada per Miseno e che la tradizione aveva identificato in tale punto.
La struttura consta di tre emicicli su più livelli trattandosi di un teatro (I sec. d.C.) trasformato in ninfeo ad esedra (fine I inizi II sec. d.C.). Gli emicicli sono collegati da rampe interne di scale; il corridoio a quota più bassa, semianulare, presenta decorazioni parietali con volta a botte stuccata ed immetteva in un ambulacro murato che doveva collegarsi con altre parti della villa.